Vergano

lunedì 10 maggio 2010

OLIMPIADI VERGANESI 1960




Non poteva essere che questa canzone, ormai diventata sinonimo di vittoria nell'ambito sportivo, ad accompagnare questo post di ricordi adolescenziali. I Queen nel loro primo ed antisegnano dei video musicali. Una rarità per i tempi in cui fu pubblicato. Difficilissimo poter rintracciare un video musicale allora!
Noi siamo i campioni, urla Freddie, e noi pure ci ritenevamo tali, per lo meno con la fantasia...
Correva l'estate dell'anno 1960. Le vacanze scolastiche allora erano una pacchia...Lunghi mesi a godere della libertà più assoluta. Pronti a scorazzare in lungo ed in largo per la valle del "Sciscion" a giocare al nostro Far West, oppure immergersi nelle sue lanche (la preferita era la "ssciusa") a sguazzare felici per interi pomeriggi, od ancora avventurarsi in bicicletta (scassatissime e col telaio da donna)alla ricerca di nuovi scenari e nuove strade mai percorse. Ma quell'anno eravamo in attesa di un avvenimento sportivo eccezionale. La radio (cosa dite?... la televisione?... non era ancora di casa!...)ed i giornali riportavano in un crescendo spasmodico di anticipazioni, la notizia per eccellenza: Le Olimpiadi moderne si sarebbero svolte a Roma. E per noi, orfani di immagini, iniziarono a moltiplicarsi le fantasie che si rincorrevano nelle nostri giovani menti immacolate. Solo qualche rara fotografia da Tuttosport (era comunque un quotidiano quasi esclusivamente da leggere e le foto risultavano rarissime.)e quelle molto più significative e abbondanti che apparivano sul settimanale "Lo sport illustrato" che a volte, con qualche sacrificio monetario, riuscivo a procurarmi, ci confortavano e aiutavano a creare il nostro immaginario.


Queste notizie alimentarono in noi (parlo al plurale, poichè allora i giochi di cortile erano condivisi con mio fratello Eugenio e mio cugino GianCarlo di due e tre anni più anziani di me.) la voglia di emulazione e di cimentarci nelle discipline più facili e replicabili senza nessuna attrezzatura. Essenzialmente quindi gare di corsa e salti derivati dall'atletica leggera.Mio cugino Giancarlo che allora aveva quasi 16 anni e che frequentava già il "Mossotti" istituto di ragioneria a Novara,era dotato di una non comune capacità organizzativa e da futuro ragioniere era in possesso di una predilezione verso tutto ciò che era statisticamente controllabile. Riusciva a raccogliere ed elaborare in maniera "mostruosamente" creativa qualsiasi dato gli capitasse di analizzare. Figuriamoci se non fosse stato in grado di "storicizzare" tempi e misure che saremmo andati a realizzare.
Dal punto di vista organizzativo, mi basta ricordare che, per rilevare le misure, ad esempio del salto in lungo oppure delle distanze dei 50 e 100 metri che avremmo dovuto percorrere, si era dotato di una "bindella" raccolta tra due lastre rotonde di latta fissate centralmente da un rocchetto di legno (usato allora per raccogliere il filo da cucire)per avvolgere una fettuccina lunga 20 metri sulla quale aveva segnato con una pazienza veramente certosina dei trattini e delle scritte numeriche, che demarcavano i metri, le decine di centimetri ed addirittura i centimetri stessi. Usando il metro da sarta flessibile, che allora non mancava in ogni casa, come modello di riferimento, ricostruì il primo strumento che ci necessitava.
Naturalmente la moderna bindella qui postata serve solo per dare l'esempio di come poteva essere quella rudimentale costruita da Giancarlo (abbreviato "Ginca" come lo chiamavamo allora), mentre il rocchetto è proprio come quello di allora.

Il secondo, per rilevare il tempo impiegato nelle gare di corsa, fu un orologio dotato di cronometro che permetteva di leggere anche i decimi , ma che però non aveva ancora la funzione di stop! Occorreva avere un grande occhio per captare il momento del fatidico taglio del nastro virtuale di arrivo. Fortunatamente il cronometrista ufficiale era solo Giancarlo e quindi gli errori, se ce ne fossero stati, avevano comunque lo stesso grado di imperfezione. Forse mal, o ben non si sa, gliene incoglieva quando per rilevare i suoi tempi eravamo io o mio fratello ad usare l'orologio....

Ma dove e con chi avremmo gareggiato?
Con chi è subito detto... Il trio era l'unica equipe "invitata" e iscritta alla competizione! Non ci sarebbero state discussioni per l'assegnazione delle medaglie: tre erano in palio, oro, argento e bronzo, e tre erano i concorrenti da premiare! I giochi della Prima Olimpiade, denominati Baraggioni 1960 proprio per la circoscrizione dei partecipanti al casale di residenza,furono solo quindi un inizio in sordina, prologo alle successive grandi edizioni, quelle di Vergano, protrattesi fino al 1964, che videro un grande numero di atleti parteciparvi.
E si svolsero giocoforza in località Baraggioni (con l'unica variante delle corse ciclistiche consumatesi sulla strada, allora semideserta, che portava da Boca al Santuario). In fondo al nostro Casale, intendo dire a sud, dove con la casa del Bruno dal "Pargot", che allora comunque non era ancora sorta, terminano le abitazioni, inizia la sottile distesa prativa delle valle del Sizzone che porta verso Fugnano. A ridosso del declivio orientale che sale verso il Colombaro, in località Baragiuna, un ben segnato sentiero costeggiava il confine di un prato, da una parte, ed un filare di alberi che delimitavano una carrareccia, dall'altra. Lì ci recammo; con la famosa bindella rilevammo che potessero esserci almeno 100 metri piani in dirittura e decidemmo di svolgervi le corse ed i salti delle specialità di atletica. Il luogo venne denominato Stadio Olimpico nei reportage che mio cugino Ginca pubblicò per l'occasione sul periodico che aveva fondato, nel quale scriveva e che aveva cura di redigere e stampare amanuensemente.

Scritto con minuziosa attenzione su un foglio tipo A4 piegato in due, è un'incredibile testimonianza di come vivemmo quegli anni, spensieratamente, ma anche molto ma molto sportivamente. Stupefacenti sono pure gli inserti pubblicitari, copiati probabilmente dai giornali sportivi di allora. Chi vuole apprezzare lo stile volutamente pomposo e ridondante degli "articoli" che avrò cura di accludere, non ha che da cliccarci sopra e sorridere con noi delle gesta grandiose, a mò di "Tartarinate" (da Tartarin di Tarascona prode e sbruffonesco cavaliere di ventura...), D'altronde potevamo fregiarci dell'onore di aver vinto delle medaglie alle Olimpiadi... di Baraggioni!



Quelle prime Olimpiadi ebbero un dominatore: mio fratello Eugenio. Nelle corse veloci non ebbe rivali. Non so ancora come abbia fatto a vincere io la gara più sprintosa, i 50 metri piani... Certamente era la mia specialità lo scatto breve, mentre Eugenio aveva una progressione micidiale.
Non l'ho ancora scritto ma lo sottolineo qui: le competizioni, ad eccezione di quelle ciclistiche, ebbero lo svolgimento in singolo, ossia ognuno gareggiava contro se stesso. Solo il riscontro cronometrico o la misura lineare decretavano la bontà e la dimensione della nostra prestazione. Era un bellissimo modo di combattere contro i propri limiti, per migliorarsi, esulando dal confronto diretto , senza cioè lo strascico, a volte sottile, della umiliazione della sconfitta.
Di quel periodo ho qualche immagine effettuata da noi con una scassatissima macchina fotografica acquistata per corrispondenza con un coupon apparso su Topolino. Credo che fosse una Ferrania. Il bello è che anche lo sviluppo delle fotografie fu fatto da noi stessi, in un buio sottoscala con l'attrezzatura fornitaci da Gino "Quaia" nostro eccentrico vicino di casa del quale avrò occasione di parlare in un altro post.
Facenti parte delle vere e proprie gare sono le due immagini che inserirò ora. Purtroppo la qualità è veramente scadente. La ripresa in movimento, con quell'antidiluviano apparecchio, dà un risultato a dir poco obbrobrioso. Io nell'arrivo dei 50 metri, sembro un vecchietto calvo.....(come lo sono ora...)


Quello che spicca il salto in lungo è Ginca. Un maestro nelle discipline dei salti. Riusciva a coordinare i giusti movimenti facendo esplodere al momento giusto la carica muscolare per spiccare i salti. Cercava di inculcare anche in noi la miglior tecnica per far rendere al meglio la potenzialità che avevamo grazie alla facilità di corsa. Incredibile fu anche l'approccio al salto triplo che, inizialmente ci risultò ostico a causa della sincronizzazione dei movimenti. Non lo avevamo mai visto eseguire dal vivo... Imparammo la tecnica dagli schizzi disegnati in una rivista del CSI, credo, dedicata ai giovani per l'apprendimento dei fondamentali dell'atletica leggera. Rivista che Ginca aveva recuperato in quel di Novara presso la biblioteca del convitto dell'oratorio dove soleva consumare il pranzo prima del turno pomeridiano di scuola. (Convitto che frequenterò anch'io nell'anno in cui feci le superiori a Novara).
Inserisco un altro documento d'epoca.
Al termine della I Olimpiade, Ginca redasse questo extra allegato allo Sportivo. Tutti i risultati conseguiti e la cosiddetta "medagliera" come l'aveva chiamata. Ancora non leggevamo sui giornali il termine giustamente usato poi in seguito "il medagliere" ( quanto giustamente non si sa...) Lui l'aveva chiamata al femminile e forse anche più appropriatamente poichè poteva considerarsi come una bacheca (femminile...) nella quale riporre ed evidenziare le medaglie vinte : una medagliera, quindi.
Ci sarebbero altre mille cose da scrivere, ma me le riserverò per il prossimo post dedicato alle Olimpiadi di Vergano, quando la partecipazione di altri ragazzi renderà lo stesso più interessante e con fotografie che farà piacere rivedere dopo quasi cinquant'anni.
Mi limito a ricordare che del famoso Stadio Olimpico che vide lo svolgersi della prima edizione delle Olimpiadi Verganesi, non rimarrà più traccia negli annali sportivi. Il "trio" prese la direzione nord e si avventurò sulle sponde del Sciscion per cercare delle alternative per i campi di gara. Uno fu riscontrato in zona "Ssciusa". Poteva permettersi un bel rettilineo di 50 metri ed un percorso di 100 metri con una poco sensibile curvatura. Fu praticato per qualche rara occasione.
Lo sbocco naturale delle nostre vicende fu lo stadio "Beniamino" , utilizzato nel passato, come ricordato, per la Colonia Solare di Vergano. Quando vi ponemmo piede era ancora in ottimo stato. Necessitò solamente di un taglio d'erba e di un piccolo lavorio di disboscamento di leggeri arbusti. Ci insediammo lì e per almeno sette od otto anni visse una felicissima stagione di piccoli e grandi eventi.
Nello scandagliare le varie ipotesi di utilizzo del territorio per insediarvi lo stadio dei nostri sogni, vagavamo per le rive del Sciscion e esploravamo le sue sponde. Ho un paio di scatti che documentano le escursioni del trio nei pressi del torrente mentre "scalano" la parete occidentale della riva del Sciscion,poco più a nord del "punt'd tola", che in tale zona è abbastanza scoscesa.

Eugenio ed io alla base della "scalata"



Ginca ed io al culmine della "scalata". Dietro noi, sulla collina oltre la valle, Mirasole la parte settentrionale di Vergano




Ingrandimento alla base della "scalata
Io sto sorridendo, forse già allora consapevole delle "rodomontate" che ci creavamo nelle nostre piccole testoline. Ma il mondo ci appariva troppo grande e immaginavamo di farci grandi pure noi. We are the champions, siamo i campioni. Non era per niente vero, naturalmente, ma è stato bello crederci e giocarci.
E dopo di noi, temporalmente naturalmente..., entreranno nella leggenda dello sprint Harmin Hary e soprattutto Livio Berruti e la gazzella nera Wilma Rudolph, eroi della pista dell'Olimpico. Delle loro imprese mi risuonano ancora nelle orecchie i commenti alla radio in diretta ( Forse era già Paolo Rosi?) e mi ricordo di essermi catapultato in cortile gridando e correndo come un forsennato su e giù per la strada dopo che Livio tagliò per primo il fatidico nastro... Lui sì che era in cima al mondo!







Nessun commento:

Posta un commento